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Pubblico con piacere la lettera che il nostro alunno di terza della Scuola secondaria di primo grado, Diego Morici,  ha inviato al quotidiano “Repubblica” e la mia risposta.

“Sono uno studente di 13 anni e mi sto preparando al mio primo ‘esame’, che tanto esame non è, della mia vita scolastica. Non sarà l’esame di cui avevo timore quando nel settembre 2017 sono arrivato alle medie. Sarà molto diverso. Come per noi studenti è stato diverso il modo di confrontarci con gli insegnanti e i compagni, come è cambiata la concezione del termine lezioni. Una cosa però non è cambiata: come e quanto si trattano le classi di terza media”.

“Fino a metà maggio gli studenti non hanno avuto alcun tipo di informazione su come si sarebbero svolti gli esami e quando sono arrivate erano confuse e poco chiare, nonché impossibili da applicare. Anche gli studenti liceali hanno avuto difficoltà a comprendere la modalità di svolgere la maturità, ma a loro la ministra, le tv e i giornali hanno dedicato la giusta attenzione. A noi no. Io credo che gli studenti siano stati tra le categorie più colpite da questa emergenza, però a chi deve concludere quest’anno un ciclo è stato tolto il giorno più bello, ma anche più significativo di tutti: l’ultimo”.

“L’ultima volta che ti siedi sui banchi della tua classe, l’ultimo giorno in cui puoi riferire ai tuoi amici i tuoi sentimenti, i tuoi segreti. Immaginatevi, voi adulti, di trascorrere una mattina di febbraio a scuola ignari di quelli che saranno i mesi succesivi. Immaginatevi di uscire dal luogo dentro il quale avete trascorso tutti i giorni per tre anni senza salutarlo dignitosamente. Di salutare i compagni come un venerdì normale, nella certezza di rivederli lunedì”.

“Vero, anche la vostra vita è stata stravolta, però per molti di voi la ‘fase due’, la fase del ritorno al lavoro è già iniziata, per noi inizierà a settembre. Noi studenti siamo stati tra coloro che più hanno perso in questa emergenza, e nonostante ciò ho letto di articoli dove si rimproverava il ministero dell’Istruzione di aver servito a noi alunni la solita pappa calda. Non è così”.

“Le scuole sono state le prime a chiudere in Lombardia e in Italia, perché devono essere le ultime a riaprire? Noi studenti siamo stati i primi a cui qualcosa è stato tolto: perché dobbiamo essere gli ultimi a cui le cose vanno ridate? È per questo che condivido l’appello di permettere agli studenti che cambiano scuola di poter attutire meglio l’impatto del lancio salutando i compagni di verifiche, interrogazioni, ma anche tanto altro, un’ultima volta”.

Caro Diego,

rispondo a te con il desiderio di rispondere a tutti i tuoi compagni e compagne che tra poco sosterranno il colloquio finale e termineranno la Scuola del primo ciclo per avviarsi verso il mondo dei “grandi”.

Hai ragione, naturalmente, su moltissime cose.

Hai ragione a sostenere che gli studenti e le studentesse (e ti garantisco anche i docenti!) sono stati informati tardi e in modo confuso sui tempi e i modi dell’esame conclusivo e hai ragione nel ricordare agli adulti il dolore che il distacco violento e improvviso dai vostri amici, dal vostro universo di relazioni e di emozioni ha provocato. Hai ragione ad affermare che sono i più giovani ad aver sofferto di più in questa emergenza in termini psicologici ed affettivi ed hai ragione a sostenere che la didattica a distanza non è una “pappa calda”, ma una pratica faticosa che ha richiesto ad alunni e alunne sforzi continui di concentrazione e tenuta.

Hai ragione anche a desiderare un ultimo giorno di scuola insieme ai tuoi compagni, ai tuoi amici.

Si tratta di un desiderio condivisibile e legittimo che si scontra, però, con uno degli insegnamenti più veri e forse più duri che questa crisi ci ha lasciato: ci sono momenti in cui i nostri bisogni e i nostri desideri devono lasciare spazio al bene collettivo, ad un interesse che supera la nostra persona o la categoria di persone alla quale ci sentiamo appartenere (giovani, anziani, uomini, donne….). Il diritto alla salute tuo, dei tuoi compagni, delle vostre famiglie, dei vostri nonni e nonne e di tutta la comunità scolastica viene prima dei vostri desideri ed io, in qualità di Dirigente scolastica, sono tenuta a fare tutto quello che è nelle mie facoltà per garantire questo diritto collettivo, evitando e prevenendo ogni possibilità di diffusione del contagio da COVID-19. Per questa ragione, in assenza di protocolli di sicurezza, non posso consentire a te e ai tuoi compagni di incontrarvi fisicamente a scuola.

Tutti – io, i docenti, i vostri genitori –  avremmo voluto che viveste il vostro ultimo anno in modo diverso e siamo addolorati per non aver potuto garantirvi la normalità, ma sono certa che voi, tu e i tuoi compagni, siete in grado di capire e rispettare le ragioni delle scelte della scuola; ci vedremo in una grande call collettiva alla fine di giugno per salutarci ed augurarci ”buona fine”, “buon inizio” e “buona vita”.

Ti abbraccio e ti auguro ogni bene.

La Dirigente scolastica

Antonia Abbiati